lunedì 1 giugno 2020
Mi ha salvata (invenzione)
Ainy Soraya Rajazai, 27 anni, pashtun, mamma di
Malala (morta) e moglie di Zahid (morto)
Ho deciso di lasciare la valle dello Swat a
causa della mia situazione. Noi donne siamo trattate come feccia, veniamo
insultate, violentate, stuprate. Sono stata venduta al mio carnefice a 14 anni.
Mentre ero uscita per giocare da sola, sono stata rapita da un uomo più grande
di me. Per giorni piangevo, ero assalita da incubi ed ero disidratata. Quel
malscalzone non mi dava né acqua né cibo. Quando poi iniziai a perdere i sensi,
abusò ripetutamente di me. Mi sentivo inerme, priva di ogni speranza. Ricordo
solo che desideravo di morire. Ma sfortunatamente, la mia famiglia, quando
scoprì l’accaduto, mi vendette a Zahid. Aveva 33 anni ai tempi. Per lunghi
anni, provò a metterci incinta, ma ogni volta abortivo. Probabilmente il mio
utero si rifiutava di accoglierlo. Poi un giorno, mi arresi. Gli diedi una
figlia a 21 anni. Quando mio marito scoprì di diventare padre di una femmina,
mi derise, picchiandomi. Voleva che abortissi. Ma ero contraria, forse quella
bambina mi avrebbe salvata. E così è stato. La chiamai Malala, in onore della
celebre attivista pakistana Malala.. Zahid invece aveva scelto quel nome perché
nella nostra lingua significa triste – tristezza. Venivamo seviziate,
violentate ed eravamo semplici schiave di un marito e padre. Solo tre anni fa
Malala mi chiese di ucciderla, odiava quella situazione. Si sarebbe reincarnata
in una farfalla bianca. Mi supplicò ma per me era impossibile farlo. Nel 2017,
durante l’ennesima lite e violenza, Malala prese un coltello e uccise suo padre
poi se stessa. Era un giorno arido, il sole bruciava e il sangue ricopriva il
pavimento. Cosa potevo fare ora? Cosa dovevo fare per scappare prima che i
talebani mi uccidessero? Presi tutti i soldi che Zahid teneva nell’armadio e scappai.
Mentre correvo non pensavo a nulla. Poi uno sparo e svenni dalla paura e
angoscia allo stesso tempo. Quando mi
svegliai, ero stesa in un letto. Mi dissero che se volevo scappare in Occidente
dovevo pagare. Il viaggio sarebbe durao più di tre mesi, a piedi, poi in macchina,
ancora a piedi, poi in macchina. Non avevo scampo. Dovevo vendere il mio corpo
per permettermi quel viaggio per la libertà. Trascorsero due settimane di
camminata senza sosta per arrivare al confine dell’Iran. Poi lì, fui affidata
ad un altro uomo. Non riesco a fornire dettagli come nomi di città perché il
mio cervello ha rimosso quasi tutto. Non mangiavo, volevo solo riposare. E
invece dovevo concedermi a persone che mi facevano ribrezzo e puzzavano. La mia
vita era fatta per soffrire. Ricordo solo che giunta a Teheran, presi una
macchina fino al confine turco. Non so come abbia fatto a sopravvivere dopo
tutte le violenze subite. Ho male ancora ovunque. Dalla turchia, Istanbul, ho
ricevuto un biglietto aereo diretto a Tripoli. Lì mi avrebbe accolta un certo
Khaled e mi sarei imbarcata per arrivare finalmente in Italia. Atterrata in
Libia, fui staccorta in modo frettoloso e molto freddo. Captai subito il
pericolo immane. Khaled era un trafficante di esseri umani. Dopo essere salita
in macchina ed essere nuovamente stuprata, fui obbligata ad entrare in un
centro di detenzione. Non potete immaginare le vessazioni subite. Ho ancora le
cicatrici. Dopo 6 mesi trattata peggio di una prostituta, salii insieme a molti altri migranti su una
imbarcazione, con l’obbligo di continuare a concedermi ai trafficanti. Mi
avevano promesso cibo e acqua, purtroppo erano solo menzogne . Era freddo,
eravamo tutti ammassati, non respiravo. Dopo 2 giorni di navigazione, siamo
stati trasbordati in due gommoni senza darci spiegazioni. I trafficanti ci
avevano abbandonato. Capimmo solo che la morte ci stava aspettando. Ricordo poi
che il giorno seguente una tempesta ribaltò tutto e tutti, molti non sapevano nuotare.
Io fortunatamente riuscii a sopravvivere a causa di un salvagente che una donna
si era portata con sé. Il salvagente era vuoto, non mi sentivo in colpa ad
appropriarmene. Io dovevo vivere. Malala mi aveva salvata. Io e pochi altri sopravvisuti
fummo soccorsi dalla Guardia Costiera Italiana.
Eravamo nei pressi della Sicilia. Ora sono viva.
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